Poetessa della materia, sublimatrice di nuove funzioni, segreta filantropa, a Elsa Peretti, prima ancora che ci lasciasse 80enne tre anni fa, non sono mai mancati successi professionali e indipendenza finanziaria, gratificazioni rare il secolo scorso per le donne nel mondo della gioielleria (e non solo, ovviamente). Eppure il suo destino ribelle si fa sentire già a 15 anni quando scappa dalla sua casa romana per andare a sentire le onde del mar Tirreno e vedere la luna. Ancora prima, in una visita nella chiesa dei Cappuccini di via Veneto, fatta di ossa di oltre quattromila frati, ne ruba uno, che sarà poi la prima ispirazione del bracciale Bone. Un processo creativo per un accessorio totalmente alternativo ma già organico e nostalgico che Liza Minelli, Sophia Loren, Catherine Deneuve, Angelina Jolie o Margot Robbie amavano e apprezzano ancora oggi. A 21 anni (ai tempi era quella la maggiore età), Elsa decide di non dipendere dalla famiglia (la madre Maria Luisa Lighini è un’aristocratica artista e il padre Nando, un industriale e fondatore dell’Anonima Petroli Italiana) e per questo va a insegnare italiano in Svizzera e sci a Gstaad.
A Milano entra nello studio d’architettura del famoso Dado Torrigiani anche se poi si sposta a Barcellona: Salvador Dalì ne è ammaliato come tutta la Gauche Divine, movimento anti-franchista. Anticonformista, volubile nelle decisioni ma sicura delle sue doti, nel 1968 vola New York, atterrando con un occhio nero causato da un amante che non voleva lasciarla andare. Sarà il suo temperamento e gli oltre 180 centimetri di fascino altero e sicuro a farla ricordare come modella e musa. Charles James, Issey Miyake, Andy Warhol la richiedono ma è Halston a volerla sempre al suo fianco (facendole disegnare cosmetici e profumi). Tuttavia è con lo stilista Giorgio di Sant’Angelo che diventerà famosa per un’atipica collana in argento, metallo ai tempi non ancora considerato per gioielli di un certo livello. Lei voleva che le donne delle città fossero come quelle di Portofino: con gardenie nei capelli o nel décolleté. E così da un vaso in argento, scovato in un mercatino, ne riduce la taglia, fino a farlo diventare una fiaschetta tondeggiante. Giorgio di Sant’Angelo farà sfilare il pendente sostenuto al collo da un laccio in cuoio e profumato da una rosa.
Diventa subito hit tanto che nel 1974 Tiffany & Co. vuole i suoi disegni. Forte della sua indipendenza, stipula un contratto di collaborazione. Un successo planetario dallo stile minimale e sorprendente che Gaudì e Brancusi avrebbero apprezzato. D’altra parte i suoi pezzi sono al British Museum di Londra, al Metropolitan Museum of Art di New York o ai Museum of Fine Arts di Boston e Houston. Dal 2000 a San Martí Vell, in Catalogna c’è la fondazione benefica Nando e Elsa Peretti (foto a lato). Un paese che cela un concetto di case diffuse che lei ha restaurato, chiesa compresa. Qui c’è un’ultima provocazione: la sua urna stondata e irregolare in titanio, posta fra confessionali dalle tendine in denim blu e altari in pietra. Minimalismo, sorpresa e classe, come nelle sue creazioni. E nella sua vita.
Alessandro Argentieri
October 06, 2024