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Tiffany & Co. celebra 50 anni di collaborazione con Elsa Peretti

Un detrito di vita, consunto dall’acqua troppo sapida del mare, che da ricordo di un’esistenza si fa fossile di cruda bellezza. Per Elsa Peretti la visione d’inconsistenza montaliana attribuita a quei pezzi frammisti d’ossa e calcare sono, in converso, cadaveri squisiti, anatomie ispirazionali che, nella foga d’inizio anni ’70, invitano a banchettare succhiando nutrienti midolli, e non vuoti rivestimenti. Perché quando l’italianissima Elsa approda a New York, nel 1969, la città è proiezione narcisistica del boom economico iniziato nel ’54: una Grande Mela che risuona di centrifughe e dei circuiti refrigeranti di congelatori nuovi di zecca, che è affumicata dal tabacco inalato da pubblicitari pionieristici e da ereditiere alimentate a idrocodone che indossano pellicce a settembre e aborrono le scarpe bianche dopo il Labor Day.

Nata a Firenze nel 1940, cresciuta ed educata tra Roma e la Svizzera, Elsa sviluppa il talento che è vero tesoro del viaggio: lo spirito d’osservazione. Altissima, bellissima, “issima” in tutto come in una canzone di Edoardo Vianello, Elsa si mantiene negli Stati Uniti diventando modella, e si avvicina alla creazione dei gioielli proprio in virtù di quel suo occhio scrutante che non l’ha mai fatta sentire mannequin, ma attrice e al contempo esegeta di ciò che indossava. È infatti il rapporto con un grande couturier della metà degli anni ’70, Halston, ad aprirle la strada nel mondo della gioielleria e a portarla a disegnare per Tiffany & Co. nel 1974.

Quella con Halston è una sinapsi di genio, un’autopsia con annessa resurrezione della sensualità, dove gli strati di tulle, i guanti e le giacche d’infiniti bottoni si sfaldano nell’ariosa indolenza di un caftano, cui basta un bracciale, o una collana, per diventare total look. Mettendo in pratica l’eredità artigianale fiorentina Elsa sonda il reale, ruba dalle normalità trascurate quel pizzico di meraviglia sufficiente per trasformarle in arte e, soprattutto, tratta l’argento con la duttilità mentale della creta, colandolo sui calchi di pezzi di quotidianità: nascono così il bracciale Bone, modellato sull’osso del polso, il design Bean, versione stilizzata di un fagiolo, e poi ancora Bottle, un “petit vase” pendente che lei stessa era solita riempire d’acqua per aggiungervi un fiore. Al suo debutto ufficiale con la Maison, il 24 settembre 1974, ogni suo pezzo andò sold out il giorno stesso.

Glorificatrice dell’ordinarietà, cultrice del seme della gioia insito solo nelle piccole cose, Elsa Peretti trova poi a Sant Martí Vell, in Catalogna, il suo Eden da salvare: distrutto dalla guerra, il borgo è oggi una fiorente eredità di suoi memorabilia, con appartamenti e stanze sparsi in tutta l’area e collegati da tunnel sotterranei, come in un festoso labirinto felliniano. A cinquant’anni dall’inizio della sua collaborazione con Tiffany & Co., Elsa Peretti resta colei che ha portato nella moda il più pregiato dei gioielli: la vita.

 

Courtesy Tiffany & Co.

Anna Maria Giano
September 19, 2024